Più volte, o venerabili fratelli, noi abbiamo detestato nel nostro consesso l’audacia di alcuni che non avevano dubitato di rivolgere ingiurie a Noi, e perciò a questa Apostolica Sede, dicendo falsamente che Noi abbiamo deviato, e non in un solo punto, dai santissimi istituti dei nostri predecessori e (orribile a dirsi!) dalla dottrina medesima della Chiesa. Veramente né oggi mancano di quelli che così parlano di Noi, quasi fossimo stati principali autori dei pubblici sommovimenti, che negli ultimi tempi sono avvenuti, oltre che in altri luoghi d’Europa, anche in Italia. E specialmente in Austria e in Germania abbiamo saputo essersi sparsa e diffusa fra il popolo la voce che il Romano Pontefice avesse inviato suoi messi, usato altre arti, avesse eccitato i popoli italiani a provocare nuovi mutamenti negli ordini pubblici. Abbiamo saputo altresì che alcuni nemici della religione cattolica hanno colto da ciò occasione per infiammare gli animi dei Tedeschi alla vendetta e staccarli dalla Santa Sede.
«Noi siamo sicuri che le popolazioni della Germania cattolica e i nobilissimi vescovi che la governano aborriscono dalla malvagità di costoro, tuttavia siamo persuasi che è nostro dovere correggere e prevenire l’impressione che potrebbe nascere negli incauti e nei semplici e ribattere la calunnia che ridonda non solo in contumelia della nostra persona, ma anche del supremo apostolato che esercitiamo. E poiché quei medesimi nostri biasimatori, non potendo provare le macchinazioni di cui ci accusano, si sforzano di recare a sospetto quelle cose che noi abbiamo fatto nell’assumere il potere temporale, per stroncare queste calunnie vogliamo oggi spiegare chiaramente ed apertamente nel vostro consesso tutta la ragione di quelle cose.
Come voi sapete, o venerabili fratelli, già fin dagli ultimi tempi di Pio VII, nostro predecessore, i maggiori principi dell’Europa cercarono di indurre l’Apostolica Sede ad introdurre nell’amministrazione civile sistemi più rispondenti ai desideri dei laici. Poi, nel 1831, ribadirono questi voti e consigli con quel famoso Memorandum che gli imperatori d’Austria e Russia e i re di Francia, Inghilterra e Prussia ritennero opportuno mandare e Roma per mezzo dei loro ambasciatori. In quella nota, fra l’altro, si parlava di convocare a Roma una Consulta di tutto lo Stato pontificio e d’instaurare od ampliare la costituzione dei Municipi, d’istituire i consigli provinciali, come pure d’introdurre gli stessi ed altri istituti in tutte le province a comune utilità e di rendere accessibili ai laici tutti quegli uffici che riguardassero o l’amministrazione delle cose pubbliche o l’ordine dei giudizi. E questi due punti singolarmente si proponevano come principi vitali di governo. In altre note di ambasciatori si parlava di dare un più ampio perdono a tutti coloro che si erano levati dalla fede del principe nel dominio pontificio.
«Tutti poi sanno che alcune di queste cose furono attuate da Gregorio XVI, nostro predecessore, e che altre furono promosse negli editti emanati per ordine suo nel 1831. Ma questi benefizi del nostro predecessore non parvero così pienamente rispondere ai voti dei principi né a bastare ad assicurare la pubblica utilità e la tranquillità in tutto lo Stato della Santa Sede. Per la qual cosa Noi, appena dall’imperscrutabile volere di Dio fummo posti sul trono, non eccitati da conforto o consiglio, ma spinti dal nostro singolare affetto verso il popolo sottoposto al temporale dominio ecclesiastico, concedemmo un più largo perdono a coloro che si erano allontanati dalle fedeltà dovuta al Governo pontificio e quindi ci affrettammo a fare alcune cose che avevamo pensato dovessero giovare alla prosperità del popolo. E tutto ciò che operammo all’inizio del nostro pontificato ben si accorda con quello che i principi d’Europa avevano desiderato.
Ma poiché, con l’aiuto di Dio, furono attuati i nostri disegni, i nostri popoli e quelli vicini esultarono di gioia e con pubbliche dimostrazioni ci acclamarono così smodatamente da indurci a provvedere affinché anche in questa eterna città si contenessero entro i giusti limiti i clamori, i plausi e gli assembramenti che con troppo impeto prorompevano.
Tutti inoltre conoscete le parole dell’allocuzione che vi rivolgemmo nel concistoro del 4 ottobre dell’anno scorso con il quale commentammo la benignità e le più amorevoli premure dei principi verso i popoli a loro soggetti ed esortammo i popoli stessi alla fede ed all’obbedienza dovuta ai loro principi. Né trascurammo di ammonire ed esortar tutti efficacissimamente affinché, aderendo fermamente alla dottrina cattolica ed osservando i precetti di Dio e della Chiesa, fossero concordi, tranquilli e caritatevoli con tutti. E deh ! fosse stato in piacer di Dio che il desiderato successo avesse risposto alle nostre voci e ai nostri conforti paterni ! Ma sono chiari a ciascuno i pubblici sommovimenti dei popoli italiani, di cui su abbiamo fatto cenno, come gli altri eventi che, o fuori d’Italia o nella stessa Italia, erano accaduti prima o accaddero dopo.
«Se poi qualcuno volesse pretendere che ciò che benevolmente e benignamente abbiamo fatto all’inizio del nostro pontificato abbia provocato tali eventi, sarebbe in errore perché abbiamo fatto quello che non solo a Noi, ma ai suindicati principi era sembrato opportuno alla prosperità del nostro dominio temporale. Rispetto poi a coloro che nei nostri Stati abusarono dei nostri stessi benefizi, Noi, imitando l’esempio del Divin Principe dei Pastori, perdoniamo loro di cuore e affettuosamente li richiamiamo a più sano consiglio, e a Dio, padre delle misericordie, supplichevolmente chiediamo che allontani con clemenza dal loro capo i flagelli che sovrastano agli ingrati. I popoli tedeschi pertanto non dovrebbero nutrire sdegno verso di Noi se non ci fu possibile frenare l’ardore di quei nostri sudditi che applaudirono agli avvenimenti antiaustriaci dell’Italia settentrionale e, infiammati come gli altri di pari fervore verso la propria nazione, cooperarono con gli altri popoli d’Italia a pro della stessa causa; altri sovrani europei, che dispongono di eserciti più potenti del nostro non hanno potuto di recente frenare l’agitazione dei loro popoli.
«Stando così le cose, Noi, ai nostri soldati mandati al confine pontificio raccomandammo soltanto di difendere l’integrità e la sicurezza dello Stato della Chiesa. Ma se a quel punto, alcuni desideravano che noi assieme con altri popoli e principi d’ Italia prendessimo parte alla guerra contro gli Austriaci, giudicammo conveniente palesar chiaro ed apertamente in questa solenne radunanza che ciò è lontano dalle Nostre intenzioni e consigli, essendo Noi, sebbene indegni, facciamo in terra le veci di Colui che è autore di pace e amatore di carità, e secondo l’ufficio del supremo nostro apostolato proseguiamo ed abbracciamo tutte le genti, popoli e nazioni con pari paternale amore. E se non mancano tra i nostri sudditi coloro che si lasciano trarre dall’esempio di altri italiani, Noi potremo contenere codesto ardore.
Qui non possiamo astenerci dal ripudiare al cospetto di tutte le genti i subdoli consigli, palesati eziandio per giornali e per vari opuscoli, da coloro i quali vorrebbero che il Pontefice romano fosse capo e presiedesse a costituire una simile nuova Repubblica degli universi popoli d’Italia. Anzi in quest’occasione ammoniamo e confortiamo gli stessi popoli d’ Italia, mossi a ciò dall’amore che loro portiamo, che si guardino attentamente da siffatti astuti consigli e perniciosi alla stessa Italia, e di restare attaccati fermamente ai loro principi, di cui sperimentarono già la benevolenza e non si lascino mai staccare dalla debita osservanza verso di loro.
«Qualora altrimenti lo facessero, non solo verrebbero meno del proprio debito, ma anche avrebbero pericolo che la medesima Italia non si scindesse ogni giorno di più in maggiori discordie ed intestine fazioni. Per quello che a Noi tocca, Noi dichiariamo reiteratamente il Romano Pontefice intendere tutti i pensieri, le cure, gli studi suoi perché il regno di Cristo, che è la Chiesa, prenda ogni giorno maggiori impegni, non perché si allarghino i termini del principato civile, che la Divina Provvidenza volle donare a questa Santa Sede, a sua dignità e per assicurare il libero esercizio dell’apostolato supremo. In grande errore dunque si avvolgono coloro che pensano l’animo nostro poter esser dalla lusinghiera grandezza di un più vasto temporale dominio sedotto a gettarci in mezzo ai tumulti dell’armi.
Questo invece sarebbe giocoso al nostro cuore paterno, se con le opere, con le cure, con gli studi nostri ci fosse dato il modo di estinguere i fomiti delle discordie, a conciliar gli animi che si combattono ed a restituire la pace fra loro. Intanto, mentre con non lieve consolazione dell’animo nostro intendemmo in parecchi luoghi non pure in Italia ma anche fuori, in un così gran movimento delle pubbliche cose, i nostri figli non esser venuti meno della riverenza verso le cose sacre e i ministri del culto; ci dogliamo pure con tutto l’animo che quest’osservanza non sia stata mantenuta in ogni luogo.
Né possiamo trattenerci dal lamentare nel vostro consesso quella funestissima consuetudine, che principalmente imperversa nei nostri tempi, di mettere in luce libelli pestiferi di ogni genere, nei quali si fa fierissima guerra alla santissima nostra Religione e all’onestà dei costumi, o si infiammano le perturbazioni e le discordie cittadine, o si attaccano i beni della Chiesa, o si contestano i suoi sacratissimi diritti, o si diffamano con false accuse gli ottimi uomini. Queste cose, o venerabili fratelli, oggi stimiamo dovervi comunicare. Resta ora che al medesimo tempo, nell’umiltà del nostro cuore offriamo assidue i ferventi preci a Dio Ottimo Massimo, che voglia guardare la sua Santa Chiesa da ogni avversità, e si degni rimirarci e difenderci benignamente da Sion, e rievocare tutti i principi e popoli agli studi della desiderata pace e concordia