I rapporti tra Stato e Chiesa

Signori Senatori. All’annunzio
delle interpellanze fattomi in una tornata degli ultimi giorni
della scorsa settimana, io mi sentii alquanto sgomento, dacché io
temeva che per parte dell’onorevole interpellante si volessero richiedere
dal Ministero spiegazioni sugli eventi accaduti dopo la solenne
discussione che ebbe luogo in altro recinto, oppure nozioni
sopra i fatti che avrebbero potuto compiersi nel breve periodo di
tempo che ci separa dalla ricordata discussione. Ma il discorso pronunciato
testé dall’onorevole oratore mi prova che tale non era la
sua intenzione, e che, apprezzando al giusto loro valore le difficoltà
che circondano il Governo del Re, egli si asteneva con savia prudenza
di fare al medesimo domande, che lo potessero porre in imbarazzo,
e si limitava a chiedergli nuove solenni dichiarazioni sui
principii della sua politica, in conferma, in certo modo, di quelle che
furono accolte così favorevolmente, oso dire, e dai rappresentanti
della nazione, e dalla nazione stessa.

Ottimo fu il pensiero che inspirò l’onorevole interpellante; giacché,
o signori, se lo scopo, a cui noi dobbiamo mirare è grande,
determinato, e in certo modo non suscettibile di essere discusso, i
mezzi per raggiungerlo sono di difficile attuazione.
La Camera dei deputati ha riconosciuto, e voi il riconoscerete, io
spero, assieme coll’onorevole interpellante, che noi non possiamo
adoperare se non mezzi morali; che mal si addirebbe a noi di arrivare
nella sede del cattolicismo come conquistatori; che sarebbe
per l’Italia grave pericolo per il mettere in fuga il Pontefice.
Il preopinante quindi non desiderava che la conferma dei principii,
a cui egli mi pare faccia adesione: solo aggiunse nuove considerazioni
per avvalorare quelle, che furono in altro recinto sviluppate.
Egli conchiudeva la sua orazione dicendo molto opportunamente
che la questione di Roma si collega strettamente con quella di Napoli,
e che collo sciogliere la prima si darà alla seconda una completa
soluzione.
Sì, o signori, la questione romana, considerata anche sotto questo
aspetto, acquista ancora una maggiore importanza. La sua soluzione
ha un’importanza immensa e dal lato delle nostre relazioni
politiche all’estero, e da quello dell’intera politica.
Importa sommamente, come diceva l’onorevole senatore Vacca,
che Roma cessi dall’essere il ricovero di tutti i nemici d’Italia e
della causa della libertà: importa sommamente che Roma non sia
più il centro da cui si spargono le cospirazioni, le congiure.
Importa sommamente che da Roma non partano più gli emissari
mandati con ogni mezzo a suscitare disordini nelle provincie
nuovamente riunite al Regno. Ma importa altresì alla consolidazione
della pace dell’Italia, e dell’edifizio che vi abbiamo fondato,
massimamente alla completa fusione morale delle nobili ed interessanti
provincie meridionali, che cessi lo antagonismo che regna
fra la Chiesa e lo Stato.
Non vi ha dubbio che questa specie di antagonismo, il quale
non si può, a mio credere, apporre a colpa del Governo, serve ai malcontenti, agli ambiziosi per creare gravi difficoltà al Governo, per
mantenere l’agitazione nel paese.
E quindi io mi associo pienamente all’onorevole senatore Vacca
per proclamare che la soluzione della questione di Roma è necessaria
a dare un assetto definitivo, ad assicurare la pace in modo
indistruttibile nelle provincie meridionali del Regno.
Non vorrei trattare per incidente la questione napoletana, e
quindi non seguirò su questo terreno l’onorevole interpellante, il
quale parmi essersi ristretto a metterla avanti onde dimostrare
maggiormente la necessità di promuovere con tutti i mezzi la soluzione
della questione di Roma. Tuttavia io gli dirò che accetto i
consigli che egli dà al Governo, ma nel modo seguente.
Credo sia dovere del Governo di usare di tutti i mezzi che gli
dà la costituzione onde far rispettata nelle provincie meridionali la
legge, onde combattere vigorosamente i partiti estremi, sia che essi
si ammantino di nero, sia che si ammantino di rosso.
Confido che colle armi legali il Governo potrà ricondurre l’ordine
e la pace in quelle provincie. Non già che io speri, né che si possa
sperare di far sparire immediatamente le tracce degli antichi partiti;
e chi nutrisse tale fiducia mostrerebbe di sconoscere l’indole
delle rivoluzioni, né terrebbe conto degli insegnamenti della storia.
Difatti noi vediamo, o signori, che ogni qual volta un grave
cambiamento succede, sia pure questo prodotto da cause nobili,
generose e legittime, ne rimane una grave perturbazione nella società.
Il nuovo Governo, i principii più salutari, più illuminati ben
possono a poco a poco acquietare tale perturbazione, ma il concorso
del tempo è inevitabile.
L’Inghilterra compì nel 1688 una gloriosa rivoluzione, la quale
ebbe per effetto di far trionfare il principio della libertà senza che
trascorresse nei disordini dell’anarchia. Eppure dovette lottare oltre
60 anni contro gli antichi partiti.
Il nostro rivolgimento non fu così grave, quanto quello che si
compì in Inghilterra. Noi lo abbiamo compito in nome di più grandi
principii, cioè non solo a nome della libertà, ma altresì a quello della nazionalità. Quindi io non esagero le difficoltà e i pericoli;
non credo che si richiederanno 60 anni per far scomparire i partiti
ostili dalla superficie delle provincie meridionali. Ma se non richiederanno
60 anni, si richiederanno certamente più di sei mesi che sono
trascorsi dal giorno fortunato in cui Re Vittorio Emanuele era
accolto nelle mura di Napoli fra gli applausi delle popolazioni.
Spero, ripeto, che con i mezzi legali noi giungeremo a far rispettare
le leggi, e ristabilire la pace. Ma se per avventura noi andassimo
errati, verremmo al Parlamento non a chiedere la dittatura, né i pieni
poteri, ma quei provvedimenti speciali e determinati che fossero
consigliati dalla necessità del tempo. Noi seguiremmo l’esempio ricordato
dall’onorevole senator Vacca; faremmo come i ministri inglesi
appartenenti al partito il più liberale, chiedendovi tale e tale altra
modificazione alle leggi nostre penali. Ma, ripeto ancora, io spero e
spero fermamente che non saremo condotti a questa estremità.
Certamente le parole pronunziate in questo e in altro recinto, l’opinione
unanime manifestata dai rappresentanti di quelle provincie,
quella invocazione quasi universale fatta al Governo di adoprar forza
ed energia, aumenterà la forza e l’energia nelle mani del Governo.
Ma fra tutti i mezzi, il più efficace senza dubbio sarebbe la soluzione
della questione romana, giacché si toglierebbe ai partiti se
non il loro stato maggiore, certamente il loro esercito.
Non vi dirò come io intenda la soluzione della questione romana:
già lo dichiarai solennemente in un altro recinto, e or poco fa
l’onorevole senatore Vacca lo ripeté con parole onorevoli e gravi. Vi
dirò bensì che le speranze da me manifestate in altra occasione
non sono scemate. Certo non posso dirvi, o signori, che in così
breve spazio di tempo le opinioni poste avanti la prima volta a nome
del Governo abbiano fatto molte conquiste; ma però hanno
fatto progressi; il principio solennemente proclamato della separazione
della Chiesa dallo Stato, della libertà della Chiesa è stato accolto
e nel paese e fuori molto favorevolmente da tutte le frazioni
del partito liberale, anche da quelli che si preoccupano specialmente
degli interessi conservatori.

Questo è un gran fatto; ma ciò non basta a giungere ad una soluzione;
bisognerà non solo renderci favorevoli le opinioni liberali,
ma è forza altresì che la parte moderata ed illuminata della Società
Cattolica riconosca la grande verità di questo principio; accetti
il grande principio della libertà. È qui, o signori, si incontrano molte
difficoltà , gravi ostacoli: ma ciò deve forse destare meraviglia?
Deve forse sfiduciarci?
No, o signori, il principio di libertà non può essere accolto dalla società
cattolica senza esitanza, senza risvegliare certi dubbi e timori.
Ed in verità o signori, come ciò potrebbe essere altrimenti? È forse
la prima volta che una grande nazione cattolica si rivolge risolutamente
alla Chiesa offrendole la libertà piena ed intera in contraccambio
di sacrifizi d’interesse temporale?
Il principio della libertà religiosa da applicarsi ad una società cattolica
(mi si permetta di dirlo) è nuovo nel mondo. Forse la Chiesa
cattolica non si è mai trovata a fronte di una società cattolica proclamante
il principio di libertà. Che dico di una società cattolica?
non si è forse mai trovata a fronte di un’altra società, che le offrisse
quello che le offriamo noi?
Ho detto e lo ripeto, il principio della libertà religiosa è recente
in questo mondo. Non ho bisogno per dimostrarlo di risalire ai
primi secoli del cristianesimo dove la Chiesa fu a vicenda perseguitata
e persecutrice. Egli è certo che del principio di libertà non vi
era traccia nei tempi di mezzo, ma nemmeno all’epoca delle grandi
riforme. I potenti riformatori del 16 secolo non combatterono la
Chiesa cattolica in nome della libertà religiosa, ma vollero sostituire
ad una dottrina un’altra la quale dava forse una parte più
larga alla ragione individuale.
I riformatori in Germania, Calvino, Lutero, Zwinglio, ecc. ecc.,
non riconoscevano il dogma della libertà religiosa, più che non lo
riconoscessero Clemente VII e Paolo V.
E invero, o signori, osservate le società dove il principio delle
riforme si è mantenuto in tutta la sua forza, e vedrete che nemmeno
ora il principio della libertà religiosa trova la piena applicazione. Anche ne’ paesi dove esso è stato posto in luce dalla civiltà
moderna, voi lo vedrete ancora di quando in quando in lotta col primato
della riforma.
Nella Svezia dove questo principio è stato conservato nella sua
purezza, sono in vigore leggi penali contro i cattolici; e un sovrano
illuminato e liberale operò sforzi inutili per riformare quella
legislazione.
Negli altri paesi ove questo principio acquistò una forza preponderante,
di quando in quando trovate tracce dell’antico principio
della riforma. Mi basterà il citarvi l’Inghilterra dove le leggi
politiche contro i cattolici durarono fino al primo quarto del secolo
presente, e dove dieci anni or sono il partito liberale spaventato
da una Bolla del sommo Pontefice che creava dei semplici titoli,
fece adottare dal Parlamento un bill penale per colpire di una
emenda di 100 lire sterline l’accettazione di uno di tali titoli.
Dunque non è da stupire se la Chiesa, se il cattolicismo accoglie
con tanta diffidenza un principio che negli stessi stati protestanti
non ha ancor ricevuto la sua intera applicazione.
Ma un altro motivo esiste che spiega la diffidenza, il timore che suscita
nella Chiesa la proposta di applicare largamente questo principio.
Abbiamo visto, pur troppo, spesse volte, i partiti liberali, dopo
aver combattuto per ottenere la distruzione degli antichi sistemi,
per conquistare, in nome della libertà un principio, conseguito il
trionfo, fare uso del principio stesso, per opprimere coloro contro i
quali avevano combattuto. Noi abbiamo visto p. e. in Francia nel
secolo scorso, quegli uomini illustri, quei benefattori dell’umanità
che fecero trionfare nell’assemblea costituente i principii, che direi
la carta magna della società moderna, i principii dell’ 89, un anno
dopo, nel 1790, applicare al clero un decreto improntato dallo spirito
di dispotismo: abbiamo visto un anno dopo imporre una costituzione
civile al clero in opposizione assoluta ai grandi principii
della libertà della Chiesa: abbiamo visto usurpare i diritti del sommo
pontefice, negare ai papi il diritto di investitura, e richiedere dai
membri del sacerdozio un giuramento contrario alla loro coscienza. Tali fatti, o Signori, e molti altri spiegano fino ad un certo punto
questa esitazione, questo timore della Chiesa; e mi spiegano
eziandio come l’Episcopato francese, il quale in generale non conosce
l’Italia, e ne giudica dalle relazioni inesattissime e potrei dire
mendaci, calunniose dei giornali ultra clericali, veggo con un certo
orrore i nostri sforzi per stabilire le nostre relazioni con Roma sul
principio dell’assoluta libertà. Certamente questo si confonde con
quanto accadde in quell’epoca, ed esso crede vedere come conseguenza,
come applicazione necessaria di questo nostro sistema,
una costituzione del clero a senso di quella del 1790.
Senza di ciò io non saprei capire come l’Episcopato francese,
così eminente per le sue virtù, per il suo zelo religioso, e che esce
dalla classe la più liberale della società, possa mostrar tanto odio,
tanta ingiustizia contro gli sforzi degli italiani, e togliere loro la
libertà per darla alla chiesa.
Quanto avvenne in Francia si riprodusse in alcuni altri paesi, ma
sotto forme, oso dirlo, meno condannabili.
Noi abbiamo visto il partito liberale in Austria, in Toscana, in Napoli
introdurre nella legislazione principii che limitavano l’azione
del potere ecclesiastico; principii che certamente erano in contraddizione
con i grandi principii di libertà.
Ma, o signori, a giustificazione di questi governi, conviene tener
conto delle relazioni nelle quali si trovavano rispetto alla corte di
Roma.
Investita del potere temporale, la corte di Roma, ricordando e
rimpiangendo un potere che esercitava nei tempi di mezzo, l’influenza
che essa credeva in diritto di esercitare sugli altri Stati in
Europa, non poteva essere trattata con quella larghezza colla quale
si tratterebbe un potere puramente spirituale.
Quindi, o Signori, se noi dobbiamo dichiarare non più conformi
allo spirito dei tempi quelle dottrine Giuseppine e Leopoldine,
dobbiamo però riconoscere come gli autori delle medesime fossero
pienamente giustificati ad adoperare quelle leggi, non dirò come
armi di guerra, ma come armi di difesa.

Però quelle leggi o fossero proclamate per la difesa o per l’offesa,
certo si è che lasciarono nello spirito della Corte di Roma e in
quello dei cattolici più ardenti, impressioni contrarie allo spirito
di libertà, una certa diffidenza verso le proposte che vengono fatte
dal partito liberale.
Per essere giusti dobbiamo tuttavia riconoscere che le idee di
libertà si sono manifestate e sviluppate anch’esse nel seno della
società cattolica. Noi abbiamo visto in Francia una parte del clero,
dopo la rivoluzione del 30, riconoscere che associando la causa
della chiesa a quella del Borbone l’aveva resa altamente impopolare,
ed in allora alcuni membri eminenti della società cattolica proclamarono
il principio della libertà.
Se non che il capo di quella scuola, uomo d’ingegno straordinario
e d’immaginazione ardente, non vedendo accolte favorevolmente
le sue dottrine dalla Corte di Roma, invece di temperare
l’espressione delle sue dottrine, continuando a mantenerle, e cercando
di propagarle nel clero francese, abbandonò al cattolicismo
e portò l’appoggio della sua eloquente parola ad una partito nemico
non solo della chiesa, ma, direi pure, della civiltà.
Ma non perciò questi germi sono stati soffocati, non perciò il
partito che vuole la libertà nel seno del clero francese è scomparso
dalla superficie della Francia. Io porto avviso, che molti e molti
membri del clero francese desiderano ardentemente di vedere
compiersi, attuarsi il programma che nei primi tempi che seguirono
l’anno 30 era stato pubblicato dall’illustre abate Lammenais
e dai suoi seguaci padre Lacordaire e conte Montalambert.
Vi è un paese dove questa dottrina ha ricevuto una larga applicazione,
ed è il Belgio.
Ivi il principio della separazione della Chiesa dallo Stato, della
libertà accordata al clero, ha ricevuto una applicazione larga e ora
ha la sanzione del tempo. L’esempio del Belgio debbe avere perciò
grande autorità e sul partito cattolico e sul partito liberale; deve
rassicurare il partito liberale che la chiesa può essere interamente
libera, che può godere del diritto d’associazione, che può esercitare la libertà d’insegnamento nel modo il più ampio senza
che la libertà abbia a patirne.
E per verità, o signori, voi vedete, che nel Belgio le istituzioni liberali
vennero svolgendosi a mano a mano.
È vero che vi è lotta, e lotta vivissima, ardente fra il partito cattolico
ed il partito liberale; ma, o signori, questa lotta non è stata
funesta in Belgio, non è stata funesta alla libertà.
Il partito cattolico, nelle vicende che succedono nei Governi
rappresentativi, pervenne più volte al potere, e ciò non solo in tempo
in cui la corrente generale delle idee era favorevole al movimento
liberale, ma altresì in quelli in cui il vento europeo soffiava
verso la parte della reazione.
Eppure, se il Governo, uscito dal partito cattolico, ha cercato
di far adottare alcune leggi su l’insegnamento, sulla carità, sulle
mani-morte, favorevoli agli interessi del clero, ha rispettato
tuttavia i grandi principii di libertà sui quali riposa la costituzione
belga: non ha mai portato la mano sulla costituzione, sulle leggi
organiche, sulla libertà della stampa, sulla guardia nazionale,
sulla libertà individuale. E nelle questioni di politica se fu contro
di noi, contro il movimento italiano (forse perché non conosce
bene la nostra storia), possentemente ostile, non si metterà
per servile rispetto dalla parte dei poteri sovrani, che
rappresentano il potere assoluto; giacché, se la memoria non mi
inganna, non è molto tempo che nella Camera Belga alcuni
membri del partito cattolico mossero gravi lamenti al Ministero,
perché i principi si mostravano troppo propizi ad un’illustre principessa
appartenente ad uno Stato che in allora riassumeva l’idea
del dispotismo.
Certamente vi è lotta fra i due partiti, ma io non considero questa
lotta come un male. Noi non possiamo immaginare uno stato
di cose fondato sulla libertà, dove non siano partiti e lotte. La pace
completa, assoluta, non è compatibile colla libertà. Bisogna saper
accettare la libertà co’ suoi benefizi, e forse anche co’ suoi inconvenienti.

Se l’esempio del Belgio deve rassicurare i liberali, deve pure rassicurare
i cattolici, perché parmi che in nessuna altra contrada
d’Europa il Clero, goda di una condizione più favorevole che in
quel pese.
Ma, o signori, io credo che sia facile il dimostrare che l’Italia è
la nazione del mondo la più atta ad applicare i grandi principii
che ho avuto l’onore di proclamare. E perché, o signori? Perché in
Italia il partito liberale è più cattolico che in qualunque altra parte
d’Europa. In Italia i grandi pensatori (non parlo de’ tempi andati,
ma di quelli del secolo presente) si sono affaticati per conciliare
lo spirito di libertà col sentimento religioso: ed io posso tanto più
proclamare questa verità innanzi a voi, in quanto che la maggior
gloria letteraria d’Italia, l’uomo illustre che voi vi onorate d’annoverare
fra i vostri colleghi, il primo poeta vivente d’Europa, ha
sempre cercato di conciliare questi grandi principii: ne’ suoi versi
immortali ha celebrato le glorie della Chiesa con i sentimenti più
liberali, e quasi alla fine della sua carriera si mantenne sempre fedele
all’uno e all’altro principio. E nella sfera della filosofia, là dove
la conciliazione forse è più difficile, dove l’antagonismo si manifesta
più facilmente, i nostri due grandi filosofi, quantunque in
campo diverso, si accordano in un pensiero, il quale domina tutte
le loro teorie, la riforma di certi abusi, la conciliazione dello spirito
di libertà col sentimento religioso. Antonio Rosmini e Vincenzo
Gioberti hanno consacrato tutta la loro vita, tutta la vastità del loro
ingegno all’arduo lavoro di propugnare la conciliazione dei due
grandi principii sui quali riposar deve la società moderna. Potrei citare
molti altri nomi minori; ma quando in un paese i più grandi
poeti, i più illustri filosofi propugnano certe dottrine, vuol dire che
queste dottrine hanno molti seguaci nella nazione loro.
Quindi, o signori, in Italia più che altrove questa conciliazione
può farsi, e può farsi utilmente.
Vi sarà lotta, imperocchè io non credo ad un accordo perfetto;
vi sarà lotta, anzi è desiderabile che vi sia. Ove questa conciliazione
si compiesse, io mi accingerei a sostenere non pochi assalti; anzi, dovendo parlar francamente, dirò che se la corte di Roma
accetta le nostre proposte, se si riconcilia coll’Italia, se accoglie il sistema
di libertà, fra pochi anni, nel paese legale, i fautori della
chiesa, o meglio, quelli che chiamerò il partito cattolico, avranno
il sopravvento; ed io mi rassegno fin d’ora a finire la mia carriera
nei banchi dell’opposizione (Ilarità prolungata).
Io sono profondamente convinto della verità di quanto ho avuto
l’onore di esporvi e del vantaggio immenso che la Chiesa deve
ricavare dall’adozione dei principii sui quali noi vogliamo stabilire
un perfetto accordo; e nutro ferma speranza che questa convinzione
poco a poco andrà spargendosi nella società cattolica: e a
ciò contribuirà non poco la discussione pubblica e la manifestazione
del sentimento nazionale. A ciò giovò, credo, grandemente la discussione
che ebbe luogo nell’altra Camera, e l’Europa rimane in
certo modo stupefatta, vedendo come da tutti i banchi di quell’illustre
consesso sorgessero voci rispettose pel capo della chiesa,
manifestanti sentimenti di conciliazione. Ma ciò che più deve averla
colpita si è, che se fra queste voci ve ne furono alcune che manifestarono
sentimenti più altamente cattolici, forse a mio credere
troppo cattolici, queste voci sorsero dai banchi dell’estrema
sinistra (Sensazione)
Così, o signori, se vi associate a questa grande manifestazione,
se accordate il peso del vostro voto alla politica del Governo, voi agevolerete
di molto la nostra impresa.
Quando un corpo così cospicuo, che racchiude nel suo seno le illustrazioni
di tante parti d’Italia, al quale spetta più specialmente
il dovere di conservare i grandi principii della società, si associa
per proclamare l’opportunità di una conciliazione fondata sulla
larga applicazione del principio della libertà, voi avrete fatto, o signori,
opera utilissima. Ond’è che procedendo fermi e risoluti nella
nostra vita, senza lasciarci trasportare da impazienze irragionevoli,
né sgomentare da dubbi e da pericoli, io spero, che fra breve
avremo convinta la parte eletta della società cattolica della lealtà
delle nostre intenzioni; l’avremo convinta, che la soluzione, che noi proponiamo, è la sola che possa assicurare l’influenza legittima
della Chiesa nell’Italia, nel mondo; e che quindi fra non molto da
tutte le parti della società cattolica s’innalzeranno voci, che grideranno
al Santo Padre:
Santo Padre,
accettate i patti, che l’Italia fatta libera vi offre, accettate
i patti che devono assicurare la libertà della Chiesa, crescere
il lustro della sede ove la Provvidenza v’ha collocato, aumentare
l’influenza della Chiesa, e nello stesso tempo portare
a compimento il grande edificio della rigenerazione dell’Italia,
assicurare la pace di quella nazione, la quale al postutto,
in mezzo a tante sventure, a tante vicende, fu ancora quella
che rimase più fedele e più attaccata al vero spirito del
cattolicismo. (Vivi e prolungati applausi)