Incarico di costituire un nuovo governo

Presidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, onorevoli senatori, quasi tre anni ci separano dal termine naturale della decima legislatura: un lasso di tempo che non possiamo disperdere se vogliamo che il nostro paese mantenga il passo con i suoi partners comunitari più avanzati.
Il 1993 non significa per noi soltanto la libera circolazione delle persone, delle merci, dei capitali e dei servizi all’interno della Comunità europea. Il Mercato unico ha per noi un valore più impegnativo per ché costituisce il banco di prova della nostra capacità di essere non soltanto europeisti ma anche, e soprattutto, europei.
Essere europei nell’Italia di oggi significa comprendere che l’Europa non è un sentimento bensì un compito; significa saper far corrispondere i fatti alle parole, i comportamenti agli impegni, la concretezza delle realizzazioni alla generosità degli ideali.
La decima legislatura è nata all’insegna di questa aspirazione ad un’Italia più moderna, più all’altezza dei tempi, più partecipe ai benefici dell’integrazione europea attraverso la maturazione di una capacità di confrontarsi con una dimensione sovranazionale.
Già l’azione del Governo De Mita era stata impostata e condotta per far fronte a queste esigenze ed aveva posto le premesse per consentirci di non giungere impreparati all’appuntamento del 1993.
Tuttavia, il cammino dinanzi a noi è ancora lungo ed impervio e la solidarietà delle forze politiche che concorrono a formare questo Governo e la capacità del Governo stesso ad un costruttivo dialogo con il Parlamento da cui trae la propria legittimazione democratica sono condizioni indispensabili per percorrerlo fino in fondo, nella consapevolezza che sugli obiettivi come tali esiste un larghissimo consenso comprovato in ogni dibattito che riguardi appunto lo sviluppo dell’Italia in chiave europea.
Noi non partiamo, davvero, da zero ed abbiamo alle nostre spalle un intenso lavoro, concretato anche in proposte già depositate o in corso di esame nelle due Camere.
L’esperienza ci insegna che nell’impostare l’azione di Governo dobbiamo evitare di tracciare programmi onnicomprensivi, destinati a restare sulla carta; dobbiamo, invece, con costante senso dei nostri limiti, individuare concretamente le cose che veramente si possono e si debbono realizzare, facendo convergere su di esse l’azione concorde e convinta dei ministri, in un rafforzato spirito di collaborazione con il Parlamento e secondo le aspirazioni delle forze rappresentative di una società ricca e complessa quale è quella della nostra patria.
L’integrazione europea è destinata a modificare i tradizionali modelli di vita, ad incidere sui nostri comportamenti fino a creare a livello continentale una società più avanzata e più omogenea. Per questo, l’Europa non si può fare senza sollecitare e, aggiungerei, motivare adeguatamente la partecipazione convinta dei cittadini ad un processo di così vaste proporzioni e di così profonde implicazioni anche sul piano del riconoscimento dei diritti sociali fondamentali, quali sono stati elaborati recente mente dalla Comunità in progetto di Carta che ha trovato finora il consenso di 11 paesi.
Le tappe della realizzazione del Mercato unico sono già fissate.
Il 1° gennaio 1993 entrerà in vigore il complesso delle misure volte a conseguire la totale libertà di circolazione, tra i Paesi membri, delle persone, delle merci, dei capitali e dei servizi. Ma già fra un anno vi sarà la completa libertà di movimento dei capitali e dovrà essere attuata, almeno in parte, l’armonizzazione fiscale.
Il secondo semestre del 1990 si annuncia carico, per l’Italia, di particolari responsabilità per il suo turno di presidenza comunitaria, soprattutto perché spetterà a noi di convocare la conferenza intergovernativa per la definizione delle modifiche dei trattati esistenti, necessarie per giungere all’unione economica e monetaria.
Queste scadenze costituiscono tappe intermedie per trasformare gradualmente la Comunità europea in un’unione politica. Si tratta di un orizzonte ancora lontano, ma i cui contorni cominciano ora a precisarsi a seguito degli impegni assunti nell’Atto unico europeo e nei Consigli europei di Hannover e di Madrid. L’Italia deve esercitare un’azione di stimolo per corrispondere — anche attraverso le iniziative dei nostri deputati eletti a Strasburgo — al messaggio del referendum del 18 giugno accolto con così significativo consenso popolare.
Diventa, quindi, urgente — voglio sottolinearlo — accelerare la preparazione della nazione al fine di favorire non soltanto l’adattamento dell’ordinamento italiano alla normativa comunitaria ma anche di rendere più pronte le strutture dello Stato e creare, così, tutte le condizioni affinché la nostra società e la nostra economia siano all’altezza delle sfide del terzo millennio.
In particolare, per la pubblica amministrazione si tratterà di fare in modo che essa possa far fronte con agilità ed efficacia ai compiti che l’attendono, evitando che la sua azione si traduca in un fattore di ritardo nel nuovo clima di competitività a livello continentale. Ritardo che, confessiamolo, rappresenta anche non di rado uno dei motivi più diffusi della insoddisfazione dei cittadini.
Per il raggiungimento di questi obiettivi abbiamo scelto di concentrarci, anzi tutto, sul sollecito recepimento della normativa comunitaria, destinata a pesare in misura sempre più ampia e diretta sulla nostra realtà quotidiana.
Nel prossimo decennio la parte prevalente della nostra legislazione economica e, forse anche, della nostra legislazione fiscale e sociale sarà di origine comunitaria: di qui la necessità di apprestare, sia a livello legislativo che a quello dell’esecutivo, gli strumenti idonei a recepire puntualmente sul piano interno la normativa comunitaria e a verificarne in maniera costante il grado di attuazione, dopo aver cercato di portare il massimo contributo nella fase elaborativa a Bruxelles e a Strasburgo.
Per conferire maggiore dinamismo a tale processo, prevediamo su questo tema una riunione mensile del Consiglio dei ministri, mentre al Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie spetterà di preparare convenientemente le decisioni del Consiglio e di verificarne l’attuazione.
Un valido sostegno potrà venire anche in questo comparto dalla collaborazione del rinnovato Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, cui chiederemo di fornirci ogni suggerimento utilizzando la preziosa esperienza congiunta sia delle categorie economiche e professionali che dello Stato e del parastato.
Nelle relazioni tra il Parlamento e le istituzioni comunitarie sembra necessario porre allo studio una modifica regolamentare per istituire anche alla Camera dei deputati, come già al Senato, un organo permanente (qui presieduto con tanta efficacia dal senatore Malagodi), cui imputare la vasta gamma di funzioni e di relazioni concernenti la Comunità europea, in stretto raccordo con le Commissioni esteri e le altre Commissioni di merito.
L’adeguamento delle strutture dello Stato alla realtà europea dovrà tenere conto di un contesto di accresciuta compenetrazione delle dodici società, di parziale delega delle sovranità nazionali e di valorizzazione delle autonomie locali.
In un’Europa che non è la costruzione di soli governi ma che fa appello all’interesse e al concorso di tutti diventa indispensabile un’informazione tempestiva e diffusa sui diritti, sui doveri e sui vantaggi del Mercato unico. È opportuno, quindi, un sistema centrale con ampie diramazioni periferiche per rendere edotti i cittadini sulle possibilità offerte dall’accresciuta integrazione. Si tratta, in sostanza, di allargare la funzione che già è svolta per la piccola e media impresa dalle camere di commercio, industria e artigianato, attraverso gli «eurosportelli».
Il recepimento della normativa comunitaria e l’informazione ai cittadini sono condizioni necessarie ma non sufficienti per trarre fino in fondo profitto dallo sforzo di integrazione europea. In una economia sempre più basata sul terziario, i servizi — e mi riferisco in particolare a quelli pubblici essenziali — devono essere gestiti a costi contenuti e in condizioni di regolarità ed efficienza per evitare oneri soffocanti per una economia che è chiamata ad un confronto di competitività su scala mondiale e per evitare di essere noi anelli spezzati in una catena di globale pubblico servizio dei Dodici.
A questo punto il discorso sulle strutture coinvolge, in primo luogo, le istituzioni, il loro rafforzamento, il loro ammodernamento nel quadro disegnato dalla Costituzione.
Mi viene in mente una frase di Jean Monnet: «Nulla è possibile senza gli uomini, nulla è durevole senza le istituzioni». In un momento di vivo dibattito mi sembra che nostro compito sia quello di trovare un giusto equilibrio tra strumenti consolidati attraverso l’esperienza ed esigenze di efficienza, di snellezza e di partecipazione; ma si tratta anche di ricondurre alla loro originaria motivazione fonti di produzione normativa, quale la decretazione d’urgenza, che il Governo si propone di esercitare con criteri di grande rigore.
Il Governo chiede di portare a compimento nel più breve tempo possibile — sarebbe l’ideale se potessimo farlo prima delle vacanze — l’esame dei decreti-legge tuttora pendenti innanzi alle Camere, evitando al massimo quel rinnovo dei decreti non accolti né respinti che non può la sciare indifferenti per la sua potenziale pericolosità costituzionale.
Per quanto riguarda la legislazione ordinaria è possibile correggere quanto c’è di meramente ripetitivo nel bicameralismo.
Raccogliendo gli orientamenti emersi in sede parlamentare sul «bicameralismo procedurale», la doppia lettura potrebbe continuare ad essere applicata a materie di particolare rilievo (costituzionali e di bilancio, ad esempio) e ad alcuni tipi di provvedimento (deleghe e decreti-legge); mentre per la restante legislazione dovrebbe essere di regola sufficiente l’esame completo ed analitico ed il voto di una sola Camera. La seconda Camera potrebbe tuttavia a maggioranza chiedere di riesaminare il testo legislativo: in difetto di tale decisione il provvedimento si intenderebbe definitivamente approvato. Se nel frattempo le due Camere si accordassero, de facto e a titolo sperimentale, per approvare con la procedura più agile i testi che sono già stati studiati e approvati da un solo ramo del Parlamento, daremmo subito una risposta concreta a questa esigenza di speditezza legislativa.
L’ipotesi, coltivata da uno dei partiti della coalizione, di introdurre nel nostro ordinamento l’istituto del referendum propositivo è materia di grande importanza: essa merita adeguati approfondimenti politici e giuridici che tengano conto del carattere innovativo dell’istituto.
La Costituzione repubblicana esalta il valore delle autonomie locali in una società pluralista; e l’evoluzione sovranazionale delle nostre istituzioni tende a rafforzarlo.
Il Governo ritiene che la riforma delle autonomie locali vada approvata entro quest’anno, risolvendo i problemi tutt’ora aperti quali la creazione delle aree metropolitane, forme più snelle nei controlli, maggiore responsabilizzazione nei processi di spesa con attribuzione agli enti locali di nuove aree di imposizione.
Nell’ambito della riforma delle autonomie locali potrà essere oggetto di valutazione, oltre che il sistema fiscale, l’eventuale modifica del sistema elettorale, correggendo, tra l’altro, l’attuale metodo per evitare la polverizzazione della rappresentanza.
Per le regioni a statuto speciale, ove sono in gioco rilevanti valori di ordine costituzionale, si pone un problema complessivo di tutela e valorizzazione delle peculiarità di ciascuna autonomia, cui si dovrà provvedere organizzando nell’attività di governo un preciso riferimento.
In tale quadro, unitamente alle altre legittime istanze regionali, particolare considerazione sarà assicurata al completamento del regime di autonomia dell’Alto Adige, consolidando le basi per una convivenza tranquilla e costruttiva, come è nei desideri di tutta quella popolazione.
Attenta cura daremo al tema degli Sloveni nel Friuli-Venezia Giulia e a quello delle tutele delle attività delle minoranze italiane in Jugoslavia. Opereremo perché il provvedimento sulle aree di confine venga approvato sollecitamente, mentre ci sentiamo impegnati a sostenere le autonomie speciali per la Valle d’Aosta, la Sardegna e la Sicilia, con accresciuta attenzione ai loro problemi, alle loro legittime attese, ai contenuti degli istituti della cooperazione e alla valorizzazione delle lingue e delle culture minori. Sono questi obiettivi tutti di un processo che, mirando all’unità europea, esalta e rafforza le ragioni alla base di una equilibrata scelta armonizzatrice capace di salvaguardare le identità che arricchiscono la comunità nazionale.
La giustizia ha sempre avuto un posto centrale nell’ammodernamento istituzionale: tanto più ne avvertiamo l’importanza in una prospettiva che impone, proprio in vista del 1993, una tutela migliore dell’individuo e della società.
Le istituzioni giudiziarie esigono una decisa azione del Governo per contribuire a risolvere la grave crisi di efficienza che le caratterizza e per porle in grado di dare una risposta più conforme alle attese del cittadino, che considera la giustizia un suo bene primario.
Gli obiettivi dell’intervento vanno individuati nel rafforzamento delle strutture, nell’ammodernamento e riorganizzazione dei servizi, nella riforma delle procedure.
Portare a compimento la riforma del processo penale costituisce un impegno primario per l’avvio della più ampia riforma dell’intero sistema penale; per il rafforzamento delle libertà individuali e collettive e per una tutela più rigorosa dei cittadini onesti e rispettosi della legge.
Il Governo intende onorare tale impegno e rispettare la data del 24 ottobre per l’entrata in vigore del nuovo codice.
A tale decisione conduce, nel conforto delle ferme posizioni assunte dalle associazioni professionali degli operatori e delle indicazioni dello stesso Consiglio superiore della magistratura, l’obiettiva ricognizione dell’avanzata realizzazione della riforma, che ha trovato indirizzo e sostegno nella preziosa opera della competente Commissione bicamerale ed impulso nelle iniziative del guardasigilli e di tutta l’amministrazione giudiziaria.
Il Governo non sottovaluta la complessità dei problemi che ancora debbono essere risolti e, soprattutto, i rischi di una situazione di incertezza che compromette, con l’accumulo dei carichi di lavoro, le residue capacità di tenuta degli apparati giudiziari. Esso giudica tuttavia doveroso compiere ogni sforzo per realizzare le condizioni essenziali al decollo del nuovo rito.
Ogni diversa scelta accrescerebbe le già rilevanti difficoltà di una riforma dibattuta a lungo, e le cui caratteristiche di modernità lo Stato democratico non può disattendere.
Le recenti leggi hanno portato un aumento negli organici della magistratura e del personale amministrativo. Occorre ora accelerare il reclutamento e le assegnazioni, rafforzando le strutture degli uffici giudiziari specie nelle regioni maggiormente colpite dai fenomeni di criminalità organizzata.
L’obiettivo del Governo è di ottenere che nelle aree nevralgiche i nuovi posti, previe adeguate incentivazioni, vengano coperti con magistrati esperti e con personale amministrativo e di polizia giudiziaria altamente qualificato.
È impegno del Governo predisporre nuove risorse finanziarie per la giustizia, incrementando gli stanziamenti attualmente insufficienti.
Il Governo solleciterà anche la definitiva approvazione del disegno di legge sul patrocinio per i non abbienti, la cui finalità è di assicurare la parità ai cittadini non in grado, per ragioni economiche, di munirsi di una valida difesa: uno degli aspetti che aveva creato obiezioni preoccupate al nuovo rito.
Per la giustizia civile dovranno essere sollecitamente approvati i disegni di legge concernenti provvedimenti urgenti per il processo civile e per l’istituzione del giudice di pace. Anche qui il carico degli arretrati è preoccupante; ogni anno ascoltiamo quasi senza più commuoverci (ed è grave) i dati inquietanti presentati dal Procuratore generale della Cassazione, nel suo discorso inaugurale.
La lotta alla criminalità organizzata merita prioritaria attenzione. Tutte le risorse istituzionali dovranno essere impegnate per avviare un reale processo di crescit civile, sociale ed economica, idonea a contrastare i fenomeni degenerativi che si sono accumulati specialmente in alcune zone del Mezzogiorno d’Italia.
«L ‘emergenza-mafia» deve essere assunta a rilievo centrale nell’azione di governo per restituire alle regioni interessate un quadro di certezze e di riferimenti, che dia alimento non illusorio alle attese dei cittadini e nel quale siano riaffermate, contro le violenze e le intimidazioni criminali, le regole dello Stato democratico.
L’esigenza di situare in una prospettiva di non breve termine gli interventi strutturali necessari ad incidere sulle radici del fenomeno, non giustifica ritardi nella realizzazione delle iniziative già oggi possibili.
Occorre consolidare la volontà politica di affrontare la «questione mafia» in maniera vigorosa, moltiplicando le risorse e l’impegno con spirito di concretezza.
Esiste un quadro completo di iniziative sul quale si deve operare: dalla lotta ai sequestri di persona alla ricerca dei lati tanti, dal rafforzamento del coordinamento tra le forze di Polizia alle iniziative per impedire il riciclaggio dei flussi finanziari del narcotraffico, dalla trasparenza delle gestioni locali agli incentivi per le forze dell’ordine operanti nelle zone a più alto rischio.
L’esistenza di vaste aree del Meridione d’Italia fortemente insidiate dalla criminalità mafiosa e, più in generale, l’accresciuta carica di violenza e di intimidazione delle organizzazioni criminali, le impressionanti dimensioni della cosiddetta microcriminalità e della delinquenza minorile, che feriscono, assai spesso impunemente, gli strati meno protetti della popolazione, rendendo insicura la vita nelle grandi città, sono sintomi della gravità e della complessità del problema e, quindi, dell’urgenza di porvi rimedio.
La risposta agli insulti della violenza di mafia deve essere severa e senza intermittenze. Tutti in questo difficile momento debbono compiere lealmente la propria parte, superando, in dignitoso riserbo, difficoltà e particolarismi, nella consapevolezza che ogni elemento di crisi degli apparati istituzionali è un’occasione di espansione e di crescita della criminalità mafiosa.
Guardiamo con preoccupazione alle vicende che, purtroppo ricorrentemente, solcano la vita di importanti uffici giudiziari con lacerazioni polemiche che rischiano di appannarne l’immagine.
Il Governo, nel rigoroso rispetto dei limiti tracciati nel disegno costituzionale, opererà perché siano accertati i fatti e dissolta ogni perplessità, nella convinta fiducia che il Consiglio superiore e la Magistratura tutta, ciascuno nel proprio ambito, sappiano sollecitamente ristabilire, laddove manchino, le condizioni di un più trasparente ed incisivo impegno nella lotta alla criminalità organizzata.
Sul piano legislativo è importante dare un nuovo impulso alla revisione della normativa antimafia.
Si deve introdurre nel nostro ordinamento una previsione legislativa espressa in tema di riciclaggio, in modo da prevedere e sanzionare penalmente tutte le varie fattispecie di attività economica illegale.
La cooperazione internazionale, per la quale abbiamo lavorato molto in questi anni, è assolutamente indispensabile.
Emerge sempre più chiara l’esigenza di rendere omogenee le legislazioni anticrimine, almeno al livello dei paesi della CEE. In un mercato senza più barriere doganali e fiscali si possono presentar e condizioni di oggettivo vantaggio per una criminalità caratterizzata da legami e gerarchie sovranazionali. Contro il crimine organizzato occorre creare un’area di vasta cooperazione internazionale, ma occorre, prima di tutto, stimolare una solidarietà coraggiosa di tutta la popolazione e dei rappresentanti elettivi che sono anche essi «lo Stato».
Per quanto riguarda i sequestri di persona va perseguita la creazione di organismi altamente specializzati.
Dovranno essere riesaminati i benefici previsti dall’ordinamento penitenziario per evitare che condannati per gravi delitti (mafia, sequestri, droga) tornino facilmente in circolazione, seminando sfiducia nella serietà delle istituzioni. E urgente, altresì, provvedere ad una opportuna modifica della normativa sugli appalti pubblici al fine di evitare pericolose infiltrazioni (attraverso la pratica del subappalto) di imprese legate alle organizzazioni criminali. Non si vuole certo criminalizzare un istituto di per sé legittimo (che serve anche a dare lavoro alle piccole imprese locali), ma la degenerazione esiste e va contrastata.
La questione della protezione da accordare ai cosiddetti «collaboratori della giustizia» dovrà essere risolta attraverso congrue misure legislative ed amministrative, anche alla stregua delle indicazioni emerse nei dibattiti della Commissione «antimafia».
Alle conclusioni ed alle proposte avanzate da questa Commissione nelle relazioni sulla Sicilia occidentale, su Gela, sulla provincia di Reggio Calabria e sulla Puglia, nonché a quelle annunciate su Napoli e sui risultati complessivi del primo anno di lavoro, il Governo intende prestare la massima attenzione, ritenendo indispensabile saldare in maniera organica la propria azione agli indirizzi del Parlamento, in un confronto intenso e costruttivo.
Per la lotta alla droga, l’impegno del Governo si orienta nel senso di una sempre più decisa azione contro il grande traffico.
Essenziali al riguardo sono la collaborazione dell’Italia alle iniziative delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite, la reciproca assistenza fra Stati a livello informativo, di polizia e giudiziario, il rafforzamento e la specializzazione dei nostri corpi di polizia, l’ammodernamento infine degli strumenti d’indagine.
Sul piano preventivo appare indispensabile contrastare l’azione criminale di diffusione della droga, assicurando un’adeguata informazione (soprattutto dei giovani e particolarmente nelle scuole), in ordine alle conseguenze devastanti dell’assunzione di sostanze stupefacenti.
La legge in discussione al Parlamento, di cui si auspica la più sollecita approvazione, non potrà che sottolineare — in armonia con gli impegni internazionali assunti dall’Italia —l’illiceità in sé dell’uso di tali sostanze, rifiutando ogni pretesa a con figurarlo come esercizio del diritto di libertà e formulando in tal senso un precetto chiaro e dissuasivo.
Le esigenze sanzionatorie, derivanti dall’illiceità innanzi affermata, si dovranno contemperare con quelle di recupero del tossicodipendente attraverso la sua corresponsabilizzazione.
Ciò potrà realizzarsi, salvo i casi di maggiore gravità espressamente previsti, con la sospensione di ogni provvedimento sanzionatorio, subordinatamente all’avvio di un programma terapeutico indivudalizzato, previo accertamento tecnico-sanitario, disposto dal giudice.
Sarà fatto ogni sforzo per potenziare le strutture socio-sanitarie (anche all’interno della dimensione carceraria) e per incentivare con opportuni aiuti lo sviluppo delle comunità terapeutiche.
In una società europea più competitiva quale si annuncia quella successiva al 1992, pressante sarà l’esigenza di tutelare le categorie più deboli e meno protette.
Una politica dell’infanzia dovrà tutelare i minori contro ogni forma di violenza, salvaguardarne l’integrità ed il diritto ad una crescita serena ed ordinata.
Dovremo ammodernare la normativa sulle adozioni per evitare il ripetersi di casi come quelli che hanno recentemente diviso la nostra opinione pubblica e per arrivare ad accordi internazionali che evitino delusioni, deviazioni e ritardi, come fino ad ora si verifica.
Ai portatori di handicap dovranno essere garantite condizioni di vita dignitosa; ciò non soltanto sul piano di un rinnovato e più intenso impegno solidaristico, ma quale riconoscimento di un preciso diritto.
Nei confronti della condizione della donna dovrà proseguirsi nella rimozione di tutti quegli ostacoli e quelle discriminazioni che ancora impediscono di realizzare la parità affermata dalla Costituzione.
Non si tratta di incidere soltanto sui meccanismi di accesso al lavoro, sulla formazione professionale e sui modelli del a «rappresentanza»; si tratta di avviare per la donna — secondo gli indirizzi della commissione della parità istituita presso la Presidenza del Consiglio — una più concreta e feconda stagione di diritti.
Per elaborare una congrua politica per la dignità e la condizione sociale degli anziani sarà il prezioso consiglio il lavoro svolto dalla apposita Commissione parlamentare di inchiesta istituita dal Senato nel marzo dello scorso anno e sulla quale ho potuto avere — per la cortesia del senatore Giorgio De Giuseppe — interessanti anticipazioni.
Mentre il cammino verso l’Europa integrata rende ancor più necessaria, per arricchirlo, la vivificazione delle molteplici identità culturali ed etniche di ognuna delle nazioni, occorre guardare con attenzione e severità a fenomeni di particolarismo che hanno assunto, in qualche deplorevole caso, caratteristiche di intolleranza e di razzismo. La reazione contro queste deviazioni l’abbiamo sentita vivissima, nell’autunno scorso, dai partecipanti alla Conferenza degli italiani all’estero, protagonisti ed insieme testimoni del superamento di periodi duri, nei quali in molti Stati i nostri emigrati dovettero subire l’amarezza delle segregazioni e delle allergie sociali. E un richiamo che non può andare perduto.
Parimenti avvilenti sono i sintomi, sia pure sporadici, di stati d’animo ostili ai cittadini del Mezzogiorno, proprio in un momento nel quale si dilata l’ambito della più vasta patria comunitaria e dobbiamo prestare molta cura per evitare che le condizioni di minor benessere, largamente presenti nell’Europa del Sud, possano protrarsi o addirittura aggravarsi.
A quanti lo avessero dimenticato e ai giovani delle province settentrionali, vorrei, tra l’altro, ricordare che, quando, durante la prima guerra mondiale, si dovettero difendere i confini acquisiti e riconquistare all’Italia le regioni irredente, tra i morti sulle Alpi e sul Piave oltre sessantamila provenivano dalle province meridionali dell’unica nostra patria.
Nel delicato settore dell’informazione e dei mezzi auodiovisivi è ferma volontà del Governo arrivare ad una determinazione equa e certa del rapporto pubblico-privato e, più in generale, delle regole di coesistenza di più reti e canali, in connessione anche con la proprietà di testate giornalistiche.
A questo riguardo, la normativa vigente sul garante dell’editoria va integrata con il conferimento di effettivi poteri sanzionatori, non sembrando sufficiente la semplice denuncia alla magistratura con tempi lunghissimi di operatività.
Il Governo De Mita ha, dopo lunga elaborazione, predisposto il disegno di legge Mammì e tra i partiti della maggioranza sono stati anche esaminati e discussi alcuni emendamenti significativi presentati in Parlamento. Tuttavia la materia — anche in relazione agli orientamenti emersi in sede europea ed alle continue innovazioni tecnologiche — richiede un ulteriore approfondimento in vista del dibattito parlamentare, in stretto contatto con i partiti.
La realizzazione del Mercato unico non richiede soltanto l’adattamento dell’ordinamento italiano e l’adeguamento delle strutture dello Stato. Dobbiamo fare di più e meglio perché la nostra società e la nostra economia eliminino i fattori di debolezza, sfruttando appieno tutte le potenzialità di crescita; ciò al fine di assicurare la piena competitività dell’Italia con i paesi europei più avanzati.
Dobbiamo sottolineare i fattori positivi. Al rilevante sviluppo del prodotto interno, superiore a quello conseguito in altri importanti paesi industriali, si è accompagnato negli ultimi anni un calo considerevole dell’inflazione. Il settore industriale ha realizzato significativi incrementi di produttività e l’occupazione è aumentata; da ultimo, nel 1988, il tasso di disoccupazione si è arrestato sul livello raggiunto nel 1987. La bilancia dei pagamenti correnti nel 1988 ha registrato un leggero squilibrio.
La decisione di liberalizzare i movimenti di capitale è stata accolta in modo favorevole dai mercati finanziari internazionali, facilitando il finanziamento del disavanzo corrente e la tenuta della lira sul mercato dei cambi.
Ma alle luci si contrappongono talune ombre.
I risultati conseguiti nel controllo del disavanzo pubblico, anche se non trascurabili, non sono riusciti ad arrestare il processo di accumulo del debito. Permane un divario tra l’inflazione nel nostro paese e quella degli altri principali paesi industriali.
Sul piano territoriale, gli squilibri tendono ad aggravarsi : nello scorso anno il tasso di disoccupazione al Nord si è ridotto, mentre al Sud è aumentato. I conti con l’estero presentano una fragilità strutturale: le esportazioni, concentrate nei settori tradizionali, sono esposte alla crescente concorrenza dei paesi in via di sviluppo; elevata è la reattività delle importazioni all’espansione della domanda interna; diminuisce il saldo attivo dei conti turistici. Nel 1989 il disavanzo corrente della bilancia dei pagamenti è in forte crescita, destando preoccupazioni. L’entità del debito pubblico e le elevate aliquote fiscali sul reddito delle attività finanziarie costituiscono elementi di rischio nel processo di liberalizzazione dei movimenti di capitale.
Nel medio termine, gli scenari costruiti dai principali organismi internazionali restano orientati ad un moderato ottimismo.
Gli obiettivi in termini di crescita del prodotto interno e di aumento dell’occupazione definiti nel documento programmatico presentato al Parlamento dal precedente Governo appaiono conseguibili. Tuttavia, in presenza dell’attuale livello dell’inflazione, la dimensione della manovra correttiva ivi prevista per il fabbisogno pubblico è da considerare un obiettivo minimo. Il Governo provvederà nei prossimi giorni ai necessari aggiornamenti al documento programmatico.
La politica economica deve porre in essere interventi che consentano di risolvere in maniera adeguata i nodi strutturali della nostra economia. Dobbiamo saper cogliere le occasioni che ci sono offerte dalle buone prospettive dell’economia internazionale e in particolare dai progressivi avanzamenti del processo di integrazione europea.
Per favorire gli aumenti della produttività del sistema dobbiamo operare, in primo luogo, sui servizi pubblici e sulle vischiosità che essi trascinano. Dobbiamo concentrarci sulla tecnologia avanzata, stimolando, più in generale, l’attività produttiva nei settori in grado di accrescere le esportazioni o di sostituire parte delle importazioni.
Essenziale, per la tenuta della nostra economia, è contenere la dinamica del costo dei fattori produttivi entro valori allineati o quelli prevalenti nei principali paesi europei: ogni automatismo ed ogni rigidità nel funzionamento del mercato del lavoro ci allontanerebbero dall’Europa e ci riporterebbero indietro nel tempo.
Ma, soprattutto, il risanamento della finanza pubblica è una priorità che va per seguita con costanza ed impegno, se vogliamo, riducendo il peso del debito, allontanare i rischi di instabilità finanziaria e di accrescere la base produttiva del paese. I rafforzamento del processo di crescita, la creazione di nuovi posti di lavoro e lo sviluppo del Mezzogiorno e delle aree depresse del Centro-Nord richiedono infatti un intenso sforzo di accumulazione.
Nella direzione indicata spingono l’accresciuta mobilità internazionale dei capitali, l’innovazione finanziaria e lo stesso approssimarsi di un assetto europeo di completa libertà valutaria.
L’allentamento del vincolo estero, che deriverà dalla maggiore competitività e dallo stimolo dei settori a tecnologia avanzata, consentirà di conseguire un più elevato tasso di crescita e, quindi, più elevati livelli di occupazione.
Il recente documento di programmazione economico-finanziaria ribadisce l’obiettivo della stabilizzazione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno, da conseguire entro il 1992 attraverso l’azzeramento del fabbisogno primario. Si tratta di un obiettivo necessario — quasi un passaggio obbligato — per porre premesse solide all’azzeramento del disavanzo corrente, accelerando così il processo di ridimensionamento del debito.
Per risanare la finanza pubblica bisogna prendere dei provvedimenti concreti sia dal lato della spesa che da quello dell’entrata. Mi rendo conto che tali provvedimenti possano apparire di non facile realizzazione: penso, per quanto riguarda la spesa, ad uno sforzo di razionalizzazione, indispensabile, soprattutto, per eliminare i margini di spreco e di inefficienza; per quanto riguarda le entrate, al rafforzamento, in primo luogo, dell’azione già avviata per combattere le evasioni fiscali, contro le quali sono altrimenti inutili demonizzazioni e lamentele.
Se non vogliamo restare nel vago o, peggio, peccare di approssimazione in una materia tanto delicata, dobbiamo dare alla nostra azione i caratteri della concretezza, speditezza e incisività.
Razionalizzare la spesa significa modificare la legislazione dei principali comparti di intervento; significa rivedere attentamente gli stanziamenti del bilancio di competenza dello Stato; significa, ancora, selezionare le richieste per spese in conto capitale in relazione al grado di priorità degli obiettivi.
Rafforzare l’azione sull’entrata comporta, anzitutto, la verifica dei risultati degli interventi sulla tassazione dei redditi dei lavoratori autonomi, l’introduzione di strumenti specifici per l’aggiornamento e la revisione del catasto e l’accertamento della congruità del gettito fiscale delle principali imposte indirette rispetto alle attività svolte nei diversi settori.
Al conseguimento degli obiettivi concreti che ho testè menzionato dovrà concorrere il riassetto dell’amministrazione finanziaria, da attuare con solleciti interventi legislativi; senza contare l’importanza di una semplificazione del sistema tributario, oggi caratterizzato da un’eccessiva frammentazione.
Un’iniziativa specifica dovrà essere, infine, assunta per procedere, in tempi brevi, ad alienare — con ineccepibili stime e con severi controlli di regolarità — parte dei beni patrimoniali dello Stato, in modo da contribuire ad una significativa riduzione del debito e da immettere sul mercato beni finora non disponibili, che potranno stimolare l’intrapresa di nuove iniziative.
Il procedere dell’integrazione europea richiederà inoltre per la spesa, il perseguimento di una più elevata efficacia ed efficienza nella produzione dei servizi e di un migliore soddisfacimento dei bisogni della collettività. Per conseguire i risultati indicati sono stati introdotti interventi volti ad accentuare la mobilità del lavoro nel comparto pubblico e a responsabilizzare la dirigenza; è necessario che l’azione avviata prosegua, mirando soprattutto a verificare i risultati conseguiti nella gestione della cosa pubblica. Un più ampio ricorso all’informatica potrà facilitare l ‘obiettivo di una più elevata produttività; per le entrate, l’armonizzazione dei sistemi di tassazione e, in primo luogo, delle imposte dirette. Con la liberalizzazione dei movimenti di capitale a breve termine, la maggiore rilevanza rispetto ad altri paesi delle aliquote sul reddito delle attività finanziarie potrebbe altrimenti presentare margini di rischio. In prospettiva, al fine di evitare la localizzazione delle imprese in particolari nazioni, occorrerà procedere ad armonizzare anche la tassazione sui profitti. Rilevanza e urgenza minori assume invece l’armonizzazione delle imposte indirette: per l’IVA, il mantenimento del principio della tassazione nel paese di destinazione non pone alcun ostacolo alla concorrenza; per le cosiddette «accise», occorre salvaguardare la specificità delle problematiche nazionali.
Il rafforzamento del processo di crescita richiede che si persegua prioritariamente l’obiettivo di una più elevata produttività nella salvaguardia dei diritti dei lavoratori.
A tal fine, occorrerà allineare le leggi che riguardano il mercato del lavoro al quadro europeo, procedere ad una analisi attenta del costo dei fattori ed accrescere l’efficienza del sistema creditizio.
Particolare impulso sarà dato allo sviluppo di iniziative tra industria ed università nel campo della ricerca e della formazione professionale. Si tratta di promuovere e di coltivare la ricerca, nella consapevolezza che essa, non avendo per definizione frontiere e dovendo con coraggio smantellare le paratie del «segreto», è condizione per lo sviluppo della cooperazione internazionale, abbattendo, spesse volte, le barriere delle incomprensioni e delle paure tra i popoli. Gli scienziati che abbiamo chiamato a raccolta per costruire modelli validi di controllo internazionale degli accordi di disarmo ci indicano la strada giusta.
Il perseguimento dell’obiettivo di una maggiore produttività, prioritario per la politica industriale e per quella del lavoro, è al tempo stesso condizione per un’inversione di tendenza dell’andamento declinante della quota italiana dei mercati internazionali e per il miglioramento del saldo del commercio con l’estero. A tal fine, occorre coordinare in modo attento gli strumenti di sostegno alle esportazioni attualmente disponibili ed adeguarne la struttura alle nuove esigenze del mondo della produzione e alle opportunità che si dischiudono con la piena realizzazione del Mercato unico. Sistemi di servizio per le medie e piccole imprese e un migliore coordinamento della presenza all’estero delle strutture pubbliche di sostegno economico e commerciale ci aiuteranno in questa azione.
L’intervento pubblico nel Mezzogiorno dovrà tendere alla realizzazione di infrastrutture, quali quelle relative all’approvvigionamento idrico, ai trasporti, alle reti telematiche, al risanamento delle aree metropolitane e più in generale alla tutela dell’ambiente, concentrando su di esse una parte significativa delle risorse finanziarie e utilizzando a tal fine gli strumenti amministrativi e tecnici già esistenti . La loro realizzazione consentirà di accrescere la redditività degli investimenti e di valorizzare le risorse naturali ivi presenti in particolare nei settori dell’agricoltura, del turismo e dei beni di interesse storico e artistico, ai quali il Governo intende dedicare una maggiore attenzione dal punto di vista della loro tutela sull’ intero territorio nazionale.
Un apporto di rilievo nello sviluppo dell’attività produttiva nel Mezzogiorno deriverà anche da un più marcato impegno delle partecipazioni statali. Il rafforzamento dell’agricoltura su tutto il territorio nazionale utilizzabile consentirà di invertire la tendenza al deterioramento della bilancia agro-alimentare, puntando sulla produzione alimentare di qualità e sull’accesso dei nostri prodotti tipici ai paesi terzi.
Il processo di integrazione europea richiede — è utile ribadirlo — un salto nella qualità dei servizi. Questo problema deve interessare tutti i servizi prodotti, ma soprattutto sanità, istruzione, casa e politica sociale.
Con riferimento alla sanità, occorre: avviare un processo di programmazione globale che si proponga di portare i servizi sanitari italiani al livello di quelli dei paesi più avanzati e di offrirli in condizioni accettabili alla popolazione (come in molte province già avviene); promuovere lo sviluppo della ricerca biomedica, come strumento per rispondere in modo sempre più efficace alla domanda di salute che viene dalla collettività; promuovere la concorrenza tra i servizi prodotti dal settore pubblico e quello forniti dal settore privato; mantenere sotto controllo l’evoluzione della spesa, pur rinunziando al ticket ospedaliero. Per i fini sopra indicati bisognerà continuare nell’azione già avviata tesa alla razionalizzazione delle strutture delle USL e ad un recupero della responsabilizzazione delle gestioni ospedaliere.
Nella politica della casa occorre portare a conclusione l’iter dei provvedimenti riguardanti l’equo canone e la normativa dell’intervento pubblico, che, tra l ‘altro, concerne il problema dell’indennità di esproprio dei suoli. Utilizzando i fondi ex Gescal, occorre, altresì, avviare un programma straordinario di edilizia residenziale per i grandi comuni ove esiste una forte tensione abitativa ed un programma sociale per le giovani coppie e per gli anziani; nell’un caso e nell’altro il ricorso a procedure straordinarie potrà assicurare tempi brevi.
E’ inoltre opportuno rivedere la normativa concernente la concessione di mutui per l’acquisto di nuove abitazioni da parte dei lavoratori dipendenti.
Le tappe di avvicinamento all’integrazione europea sollecitano una forte ripresa di attenzione per le risorse umane, che saranno determinanti per la capacità del paese ad affrontare la competizione tra paesi diversi.
Caratteristica di ogni fase di significativa discontinuità dello sviluppo è una forte tensione, appunto, sul fronte delle risorse umane: così è avvenuto all’inizio degli anni ’60, così torna ad accadere oggi, in una situazione profondamente mutata, da paese evoluto, industrializzato e persino importatore di manodopera. Oggi si tratta di adeguare la qualità e la quantità di laureati, tecnici e quadri alle nuove esigenze delle attività economiche e sociali.
In particolare, per quanto riguarda l’istruzione è necessario: per l’università, concludere l’iter per attuare l’ultimo piano quadriennale di sviluppo; presentare il provvedimento di autonomia degli atenei; varare un provvedimento di riforma degli ordinamenti didattici per adeguare la tipologia dei titoli di studio italiani a quella europea.
Per la scuola, favorire la conclusione dell’iter legislativo dei provvedimenti sulla scuola elementare, sul diritto allo studio, sulla riforma della scuola secondaria e degli esami di maturità; perfezionare l’insegnamento delle lingue straniere nelle scuole ed inserire corsi di lingue straniere durante il servizio militare di leva (è questa una iniziativa il cui annuncio appare molto gradito ai giovani ed è obiettivo utilissimo).
Nell’ambito (mi avvio all’ultimo punto o quasi) delle politiche sociali, occorre confermare il ruolo centrale della previdenza pubblica, prevedendo, nel contempo, lo stimolo delle iniziative per la previdenza integrativa. In particolare, occorre : riconsiderare la normativa per i lavoratori dipendenti, predisponendo un provvedimento di riforma imperniato sui criteri definiti dal precedente Governo; favorire la conclusione dell’iter di riforma pensionistica per i lavoratori autonomi, peraltro nel rispetto delle compatibilità economiche del sistema; mettere allo studio un progetto per la graduale perequazione delle cosiddette pensioni d’annata; emanare una legge quadro sull’assistenza, volta a realizzare un più stretto coordinamento tra interventi e condizioni di bisogno dei beneficiari.
Un’attenzione particolare deve essere posta al problema dell’ambiente, che travalica le dimensioni nazionali.
La tutela dell’ambiente dovrà essere capace non solo di riparare i danni prodotti, ma, soprattutto, di indurre modificazioni atte a rendere la crescita economica compatibile con una elevata qualità della vita.
In tale ordine di idee il Governo intende dare maggiore impulso alla ricerca scientifica sulle questioni ambientali, sviluppare le necessarie tecnologie e formulare chiare valutazioni dei costi economici e dei benefici delle politiche ambientali. Per far fronte a tali incombenze, sarà indispensabile il contributo di studio e di analisi del Consiglio nazionale delle ricerche.
Una politica dell’ambiente che sia efficace non può fare a meno di valorizzare la cooperazione internazionale. Ciò vale, soprattutto, per le iniziative proposte dai competenti organismi delle Nazioni Unite, mentre, per quanto attiene alla cooperazione con i paesi emergenti, dovrà essere nostra cura modulare i relativi interventi con la necessità di proteggere l’equilibrio ecologico in tutti i campi.
In ambito nazionale, il quadro programmatico e le risorse finanziarie per l’ambiente sono legate alla definitiva approvazione del «Programma triennale di salvaguardia ambientale», che prevede piani di risanamento per i grandi bacini fluviali ed investimenti per il risanamento delle aree a rischio già dichiarate o proposte dalle regioni.
È altresì necessaria l’approvazione della legge-quadro sui parchi naturali.
Nel frattempo vanno predisposti strumenti di emergenza per la gestione degli interventi prioritari che devono essere immediatamente avviati e che riguardano bacini dei grandi fiumi — in primo luogo il Po — e il risanamento del mare Adriatico.
Per l’avvio dei progetti immediatamente eseguibili per il sistema Po/Adriatico il Governo provvederà a nominare, ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 400 del 1988 (legge sulla Presidenza del Consiglio), un commissario straordinario, che opererà con i poteri di ordinanza.
Interventi saranno nel frattempo disposti con la dovuta celerità a sostegno delle attività produttive direttamente compromesse nella particolare emergenza dell’Adriatico.
Il Governo attuerà consultazioni immediate con le regioni interessate.
E da ultimo, la politica estera. Viviamo un momento che il presidente degli Stati Uniti, Bush, visitando l’Europa, ha definito «straordinario, anzi sconvolgente». La realtà internazionale in continuo movimento sollecita la capacità del Governo di cogliere e valorizzare ogni elemento di novità, pur nella sostanziale continuità di una politica estera sostenuta dal più largo con senso del Parlamento.
Due grandi spinte convergenti muovono oggi il nostro continente: l’integrazione dell’Europa Occidentale da un lato, la diversificazione e la liberalizzazione del l’Europa dell’Est dall’altro.
L’integrazione occidentale ha ritrovato il passo sostenuto degli anni migliori.
L’Europa si orienta verso traguardi non ancora del tutto definiti ma che, dalle indicazioni del voto di giugno, tendono a collocarsi oltre il limite delle sovranità nazionali. I risultati del referendum offrono per noi ulteriore incentivo per spingere le istituzioni comunitarie a progredire, per accentuare il controllo democratico dell’integrazione attraverso un ruolo crescente del Parlamento europeo, per indurre sempre più l’Europa ad esprimersi con una voce sola, mobilitando tutte le risorse della cooperazione politica.
L’Europa, attraverso un processo per gradi le cui linee sono state indicate nel rapporto Delors, si avvia a realizzare l’unione economica e monetaria: il contrasto tra i Dodici non dovrebbe essere più i sull’obiettivo bensì sugli strumenti e sulle tappe. La Conferenza intergovernativa che dovrà preparare il nuovo Trattato sull’unione monetaria dovrà presumibilmente, come ho detto, essere convocata nella seconda metà del 1990, in coincidenza con la presidenza italiana della Comunità.
Democrazia, socialità, mercato, rinnovamento tecnologico sono le basi sulle quali costruire l’Europa del futuro. Una Europa non chiusa egoisticamente nella fortezza del proprio benessere bensì fedele alla generosità del disegno originario, aperta alla collaborazione ed alla solidarietà verso gli altri.
In questo spirito, il nostro sarà un atteggiamento flessibile e disponibile anche nei confronti di quei paesi che, facendo valere la loro incontestabile vocazione europea, bussano alla porta dell’adesione. Ma, dovremo, nell’immediato, dare priorità all’obiettivo del 1993, come pure, nel più lungo termine, all’unione politica, che deve essere il traguardo di tutti. Parallelamente approfondiremo, al di fuori dell’adesione, forme avanzate, magari transitorie, di associazione soprattutto con i paesi a noi più vicini, anche per contribuire a realizzare condizioni di stabilità politica ed economica nell’area per noi fondamentale del Mediterraneo.
All’Europa dei Dodici guardano con speranza i nostri vicini dell’Est: la loro esperienza politica, forse la più drammatica del nostro tempo, va trasformandosi sotto i nostri occhi nel segno della libertà. Non possiamo lasciare quei paesi a se stessi.
L’aggravarsi della loro crisi economica non solo ne ostacolerebbe l’evoluzione democratica, ma creerebbe anche al centro del nostro continente una fonte permanente di instabilità, di disgregazione, di rischio di ritorni dispotici.
Particolare attenzione dovremo prestare all’amica nazione jugoslava, di cui apprezziamo il ruolo nell’ambito dei paesi non allineati. Al vertice di Parigi i paesi più industrializzati si sono impegnati a sostenerne l’economia e, da parte nostra, non mancherà il contributo volto ad alleviare le difficoltà presenti.
Abbiamo già constatato in Cina le enormi difficoltà di ogni passaggio dallo Stato al mercato, dal collettivismo al pluralismo: il che, comunque, non poteva in nessun modo renderci indifferenti verso la sanguinosa repressione di chi si illude se crede che, sgomberando le piazze, si sgomberino anche le idee dalla coscienza degli uomini.
Il proposito del Governo è dunque di partecipare ad una strategia concertata per favorire all’Est una transizione pacifica verso la democrazia, con strumenti economici quali joint-ventures, aiuti di emergenza, alleggerimento del debito, inserimento di quei paesi nel commercio internazionale. Mi sembra significativo che la Comunità europea abbia ricevuto dal vertice di Parigi l’incarico di gestire gli aiuti e di organizzare l’assistenza economica per i paesi dell’Est.
Intendiamo così tradurre in realtà i principi dell’Atto finale di Helsinki, che ci indicano la via per riassorbire la divisione dell’Europa facendo leva sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, presupposto di una nuova e più solida sicurezza.
Il grande negoziato in corso a Vienna sulla stabilità convenzionale in Europa favorisce questo disegno, nella misura in cui mira a ridurre la superiorità del Patto di Varsavia ed a ricondurre gli equilibri militari ai livelli più bassi, fino a realizzare dall’una e dall’altra parte strutture puramente difensive. L’Alleanza Atlantica, garanzia insostituibile della nostra sicurezza, costituirà ancora una volta il luogo della riflessione e dell’azione comune per far fronte alle sfide del disarmo come già fu per quelle del riarmo.
La Nato nel Consiglio Atlantico di Bruxelles si è posta l’obiettivo di raggiungere entro un anno un accordo per la drastica riduzione di uomini e di armamenti, sulla base di proposte presentate a Vienna nei giorni scorsi. Il Governo si adopererà perché questo traguardo non risulti irrealistico ed altresì perché, sempre sul terreno del controllo degli armamenti, si percorra i tratto finale che ancora ci separa dal bando globale delle armi chimiche e perché, infine, le due maggiori potenze concludano il loro negoziato sul dimezzamento delle armi strategiche.
Mentre si attenua il contrasto al centro dell’Europa, permangono ai margini di essa gravi situazioni di crisi, con rischi permanenti per la stabilità generale. In un clima incline al compromesso ed al dialogo, il perdurare del conflitto arabo-israeliano rappresenta il buio a mezzogiorno.
Il doloroso dramma della non ancora trovata chiave di convivenza nelle terre occupate della Cisgiordania e di Gaza, la tragica realtà del Libano che rischia la decomposizione, il faticoso processo per passare tra l’Iraq e l’Iran dal «cessate il fuoco» alla pace: questi ed altri inquietanti risvolti rendono tuttora delicata e non di rado angosciosa la situazione del Medio e Vicino Oriente.
L’Italia, in piena sintonia con la Comunità europea ed in ripetuti contatti con gli Stati Uniti d’America, con l’Unione Sovietica e, naturalmente, con tutti gli Stati più direttamente interessati, cerca di dare il suo convinto contributo perché si trovino sostanze e modi per uscire dalla incomunicabilità e dalle tensioni. Nessuna occasione deve essere trascurata, né può ignorarsi che tuttora permane in Israele uno stato d’animo di diffidenza e di ostilità, non fugato dai pur rilevanti progressi che l’OLP ha compiuto con il Consiglio nazionale di Algeri.
Un nuovo appello alle parti è stato rivolto dal vertice europeo di Madrid cui è peraltro seguita una contestazione interna al Likud sulla proposta di elezioni fatta dal primo ministro Shamir, che rappresenta oggi il meno lontano modello potenzialmente concreto per far arrivare almeno al dialogo tra le parti contrapposte.
Alla ricerca non facile di elementi che possano avviare al disgelo vorremmo rivolgere un invito arduo ma ricco di effetti positivi, ripetendo quanto ebbi a dire nel settembre dello scorso anno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, cioè che è un assurdo equiparare sionismo e razzismo, come improvvidamente fu fatto nella risoluzione del 1975.
Potrebbe essere questa la scintilla formale per consentire a non pochi cittadini di Israele di convincersi che non è davvero loro ostile chi cerca tenacemente la soddisfazione politica e umana del popolo palestinese.
Non possiamo distogliere il nostro sguardo da paesi, come l’Etiopia e la Somalia, ai quali ci legano rapporti e doveri particolari; l’azione dell’Italia continuerà ad essere ispirata, qui come nelle altre crisi tuttora aperte, dal Centro-America alla Cambogia, alla ricerca delle condizioni che possono favorire la riconciliazione internazionale.
L’ Occidente non può esistere assediato da una parte cospicua del pianeta tuttora alle prese con la sopravvivenza. Alla fine del secolo 1’85 per cento della popolazione umana si concentrerà nell’emisfero Sud: vano, oltreché egoistico, sarebbe ogni tentativo dei paesi privilegiati di ignorare questi squilibri in un mondo sempre più interdipendente, nell’economia come nell’ecologia.
Una politica lungimirante della cooperazione non può non proporsi i seguenti traguardi: elevare gradualmente il contributo italiano, sino all’obiettivo ultimo indicato dalle Nazioni Unite; valorizzare il volontariato; seguire criteri di selezione degli interventi in funzione dello sviluppo, ma senza ignorare le esigenze dell’ambiente; datarsi di strumenti sempre più efficaci, anche per quanto riguarda la sua attuazione tecnica.
Al centro della crisi c’è spesso l’indebitamento e contribuire a sciogliere questo nodo è diventato un compito prioritario dei paesi più ricchi cui il Governo intende partecipare, attenendosi alle linee di una strategia che è stata ulteriormente definita nell’ultimo vertice a Parigi.
Il carattere universale di molti problemi, la consapevolezza ormai generale, di fronte all’inutilità di logoranti conflitti, nei limiti della forza hanno elevato come mai in questo dopoguerra peso e prestigio delle Nazioni Unite e inducono a privilegiare l’integrazione regionale, che dovrebbe sostituirsi ovunque, sul modello dell’Europa, alle rivalità antiche e recenti.
La nostra politica intende, infine, coordinarsi sempre di più con le comunità italiane all’estero, dando attuazione alle indicazioni delle comunità stesse che sollecitano che siano portate a termine le conclusioni della seconda Conferenza delle emigrazioni, secondo un impegno che — lo ricordo — fu esplicitamente preso da tutte le forze politiche. Fra gli obiettivi più immediati vi è la rapida istituzione del Consiglio generale degli italiani all’estero, nel quale opereremo per arrivare anche a quel traguardo del voto, che sarà agevolato dall’ormai immediato censimento generale.
Signor Presidente, onorevoli senatori, le circostanze della vita politica mi hanno portato ancora a Palazzo Chigi, dove lavorai negli anni settanta in un tormentato triennio insanguinato dai macabri assalti del terrorismo, che riteneva di poterla avere vinta sull’ordine democratico minacciando ed uccidendo. Non riuscimmo, purtroppo, a salvare la vita di Aldo Moro e quella di altri innocenti servitori dello Stato, ma tutti insieme evitammo che il disegno disgregatore potesse realizzarsi.
Mi sembra che oggi la situazione — pur densa di problematiche e rischi — sia ben diversa: la affrontiamo con trepidazione, ma con grande volontà costruttiva.
Ho detto agli inizi di questa mia esposizione — e per quanto ho potuto ho cercato di mantenervi fede — che non avrei svolto il completo elenco di problemi, sia permettere l’accento su quelli che ritengo prioritari e di indirizzo, sia per sottolineare la continuità con i programmi del Governo precedente, sostenuto da una coalizione degli stessi cinque partiti.
Ed è dai gruppi parlamentari relativi che noi ci attendiamo un convinto voto di fiducia; mentre all’opposizione nessuno ha mai pensato di chiedere — come si è sussurrato — benevolenze o sconti. A me anziano, che ebbi l’onore di assistere da questi banchi, come collaboratore di un indimenticabile Presidente del Consiglio, alla prima seduta del Senato della Repubblica, l’8 maggio del 1948, sono rimaste impresse — e penso di poterle oggi ripetere — le sagge parole del presidente Ivanoe Bonomi: «Le parti politiche debbono vivere per controllarsi, misurarsi, sospingersi a vicenda. Dove è lotta è vita, dove è stasi è morte. Ma, pur nella vivezza della lotta, le parti politiche debbono abbandonare — in nome del comune amore di patria — ciò che può essere eccessivo e può turbare l’ordinato svolgimento della nazione».
È in questo spirito che il Governo, grato al Presidente della Repubblica e con grande rispetto per le due Camere e per i loro Presidenti, inizierà — se avrà il vostro sostegno — il suo arduo cammino.