Per l’Unione Europea

ALCIDE DE GASPERI

La posizione dell’Italia nel Patto Atlantico

Quando si parla di schieramento democratico in confronto dello schieramento totalitario, riferito alla situazione internazionale, s’intende di contrapporre ai partiti comunisti, socialcomunisti e filocomunisti, che accettano la Russia bolscevica come Stato-guida, ne esaltano il regime e invocano la sua estensione o la sua penetrazione in Italia, di contrapporre, dico, l’idea del regime libero, parlamentare e democratico o meglio ancora l’incarnazione di questa idea, cioè la difesa del regime costituzionale democratico esistente di fatto in Europa e in America. Questa difesa è alla base del Patto Atlantico e della politica atlantica, giustifica l’alleanza difensiva dei 14 Paesi, ispira la politica che il Consiglio della Nato discute e formula con la collaborazione dei rappresentanti alleati. È vero che questa politica, a seconda delle circostanze e degli interessi più immediati dei singoli, può essere o apparire ora più duttile, ora più rigida; e che sui metodi e sui mezzi è sempre aperta la discussione; ma rimane impegnativa, in forza del Patto, la solidarietà nella difesa e nella sua preparazione, quindi nel comune sforzo di riorganizzare le Forze Armate.

Certamente, sull’organizzazione, sui modi di costituire e far valere la volontà comune, sulla strategia e sulla tattica da seguire, vi sono e possono esservi discussioni e differenze. È chiaro che non si è raggiunta ancora nella cosidetta guerra fredda la necessaria unità d’azione, che la diversa situazione dei Paesi alleati in confronto di alcuni problemi porta talvolta a manifestazioni divergenti o contraddittorie, né, in tale fase di sviluppo si può attendere dai vari Paesi un conformismo che si avvicini a quello dei Paesi satelliti. A tale riguardo l’Italia ha sempre fatto sentire in foro competente la sua libera voce. Il suo atteggiamento è stato quello di una ragionevole e cauta aspirazione verso le soluzioni pacifiche, associata alla più esplicita lealtà verso il Patto e l’esecuzione delle comuni deliberazioni. Non è quindi lecito parlare di un nostro «oltranzismo» che si dovrebbe e si potrebbe modificare senza ledere il Patto. In realtà non esiste un atteggiamento neutralista o para-neutralista che si possa conciliare col rapporto di alleanza. Se l’Italia ritenesse doveroso e opportuno di mutare politica dovrebbe senz’altro, onestamente e francamente disdire il Parto. Un partito o un governo che volesse fare tale politica, avrebbe l’obbligo e sarebbe costretto ad assumere la responsabilità di questa rottura. Non si tratta dunque di cambiare ritmo di marcia o tono di comportamento, ma come fu ammesso ripetutamente anche da Nenni, di cambiare politica. Per parlare chiaro, ci si consiglia di mutare direzione al nostro cammino e di muoverci in senso contrario. Contrario all’americanesimo, si aggiunge, ma non si dice che il senso di marcia contrario conduce verso lo Stato-guida, anche se la marcia può avere delle soste tortuose che si chiamano neutralità.

Ecco perché – e qui parliamo solo di politica estera – non mi riesce di trovare fra il cammino di Nenni e il nostro una possibilità di convergenza che giustifichi il tentativo di fare, sia pure per breve tratto, del cammino assieme. Se ci vedessero camminare in compagnia, la brava gente che incontrassimo per via scuoterebbe il capo e a ciascuno di noi domanderebbe: Quo vadis? Non è quindi che non vogliamo, per misoneismo o, come si è scritto, per paura del rischio; la vita politica e l’interesse del Paese possono chiederci talvolta di passare sopra alla coerenza formale; ma non possiamo sacrificare la coerenza sostanziale. Senza dubbio ci saranno nelle file socialiste, come in altri gruppi, elementi che non sono inseribili nell’antitesi che ho descritto, e l’ulteriore evoluzione potrà mettere in evidenza o valorizzare tali elementi, ma in questo momento non possiamo né individuarli in sé, né ravvisarli nella loro rappresentanza ufficiale.

Ma non basta. Quand’anche ci si rispondesse che non si pretende da noi l’abbandono del Patto d’alleanza (come se il rimanere a mezza via dipendesse solo da noi!), ma piuttosto il suo graduale annullamento, c’è un altro contrasto, grave anch’esso, fra la nostra linea di condotta di politica estera e quella consigliata e voluta dai socialcomunisti: si tratta dell’Unità Europea.

La Ced

Noi abbiamo accettata la proposta francese della Comunità di Difesa, cioè dell’organizzazione di un esercito comune europeo, non semplicemente per le ragioni gravi, ma pur sempre contingenti, della difesa ma perché la Comunità di Difesa è destinata a diventare, sia pure entro determinati limiti, comunità politica ed economica dell’Europa.

Per sei mesi rappresentanti di sei Paesi continentali hanno lavorato allo Statuto, raggiungendo risultati di compromesso veramente positivi, imperniando attorno alla esistente comunità del carbone e dell’acciaio e alla Ced, già accolta da sei Stati, una serie di istituzioni e di attribuzione, sufficienti per iniziare una vita politica comune europea. Molte difficoltà ed esitazioni sono sorte in vari Stati: ma ogni volta che ci raduniamo, nessuno osa spegnere una così grande speranza, anzi la fiamma si ravviva.

La verità è che la Ced costituisce la garanzia più organica e più solida immaginabile della pace in Europa, perché supera il conflitto sempre rinascente tra la Francia e la Germania, lo supera e lo coordina ai fini della pace in tutto il mondo. È il primo, grandioso tentativo non di sostituire, ma di integrare, con una comunità più larga, la vita delle principali nazioni europee.

Nello stesso tempo essa è garanzia di pace anche verso la Polonia e la Russia. La Germania dall’esercito comune non può sortire per attaccare chicchessia; del resto le stesse idee di Churchill per una Locarno anglo-russa possono essere interpretate e applicate come garanzie integrative. Ed infine, quale altra soluzione pacifica e tranquillante si propone? Nessuna. La Germania nella Nato tu proposta, e sollevò fierissime obiezioni. La Germania disarmata e controllata, è la soluzione post-bellica di Potsdam, ma chi può affermare che si tratta di soluzione che porti pace interna ed esterna? Non mi voglio attardare nel prevedere i pericoli di un tale periodo che, anche se imposto, non potrebbe essere che transitorio.

Unità Europea per la pace

Perciò quando insistiamo per la Ced, non seguiamo un sogno fantastico, non predichiamo misure di guerra, ma tendiamo con tutte le nostre forze verso la pace. Obiezioni, perplessità, deficienze, moltissime come in tutte le cose umane, ma dobbiamo lavorare con tenacia e con fede con gli elementi costitutivi oggi possibili e utilizzabili. Mi si accusa di eccessivo americanismo.

Ma io mi sento uomo libero anche di fronte all’America. Sono grato per quello che l’America ci ha dato e ci dà, ma la nostra aspirazione è che il suo aiuto si esplichi accettando le nostre merci e sopratutto i nostri lavoratori. Lo dissi a suo tempo a Truman e l’ho ripetuto al Presidente Eisenhower. Il nostro ideale è di non pesare in nessuna maniera sui contribuenti americani, ma chiediamo agli americani tutti di buona volontà (e tale desiderio ultimamente è stato manifestato anche all’Ambasciatore Luce) di non chiudere le dogane alle nostre esportazioni e sopratutto di non negarci le occasioni di lavoro. È la fraternità del lavoro, sia per le commesse all’interno sia per il lavoro all’estero, che rinsalda la nostra e la democrazia di tutti, e costituisce la permanente linea di difesa.

Così concepiamo e abbiamo concepita la Comunità Atlantica, così siamo grati all’America per l’appoggio che essa dà all’unità europea. Politica atlantica e politica-europeistica sono solidali. Bisogna procedere uniti nella difesa e nella costruzione della pace. Ogni formula, ogni trattato cartaceo sarebbe vano, se lasciasse dietro di noi un’Europa lacerata dagli antichi sospetti e indebolita dalle vecchie gelosie e dai ricorrenti egoismi.

Si è invocata una iniziativa italiana. L’iniziativa è questa: l’Europa; non è iniziativa tattica nostra, benché dei grandi italiani sia l’ispirazione universalista! Noi saremo accanto alla Francia in amicizia fraterna, se la Francia, che ha elaborato il trattato, prenderà la testa del movimento per attuarlo, attuarlo a tempo, in modo che esso diventi argomento e strumento costitutivo e definitivo di pace.